L’alfiere Farnese

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Al secondo piano della Rocca Farnese, il percorso espositivo (circa 200 mq.) è dedicato a documentare lo sviluppo di Valentano e del suo territorio dall’Alto Medioevo (circa VII secolo d.C.) fino all’età contemporanea. Le vetrine espongono una ricca collezione di ceramiche , rinvenute soprattutto nei cosiddetti butti (gli antichi pozzi usati come immondezzai) e nei numerosi scarichi formatisi all’esterno delle mura del paese e, in particolare modo, attorno e all’interno della Rocca Farnese stessa.
Alle ceramiche più antiche invetriate e smaltate dei caratteristici boccali a cannata (o panata) seguono quelle trecentesche smaltate e dipinte in bruno manganese e verde ramina, decorate con motivi geometrico-floreali.
Fra le ceramiche quattrocentesche, dai colori giallo-antimonio e blu-cobalto decorate con figure antropomorfe, animali, motivi religiosi ed araldici, spiccano alcuni frammenti decorati con verde a rilievo e zaffera e un piatto realizzato con la tecnica del graffito, tutti di scuola viterbese. Due ciotole ispano-moresche provenienti da Manises (Valenza) attestano scambi commerciali con la Spagna.
Un gruppo di reperti raccolti nel 1987 in un butto posto all’interno della Rocca Farnese ricopre un significato particolare: tra i materiali recuperati, infatti, alcuni frammenti hanno permesso di ricomporre, fra gli altri, un piatto nunziale, sul cui cavetto sono rappresentati uniti gli stemmi delle famiglie Farnese e Orsini.
Questo “piatto d’amore” rimanda al gruppo di ceramiche commissionate dal Cardinale Alessandro Farnese in occasione delle nozze di Pier Luigi Farnese con Gerolama Orsini di Pitigliano, celebrate nel 1519 nella Chiesa Collegiata di San Giovanni Apostolo ed Evangelista di Valentano.
Stiamo per raccontarvi una storia incredibile! E lo facciamo partendo da una discarica, antica certo, ma pur sempre una discarica. Insomma per essere chiari fino in fondo vi stiamo per raccontare una storia di spazzatura. Anche se non vi parleremo di immondizia qualunque, ma del pattume della potente famiglia Farnese, i signori di Valentano e abitanti della nostra Rocca sin dal 1262. Ma torniamo alla nostra immondizia. Provate a guardate con attenzione il nostro oggetto, qual è la prima cosa che vi viene in mente? È un piatto certo. Ma è rotto! È infatti quello che resta di un piatto. E come mai ne è rimasta soltanto una parte? La risposta è semplice, ed è perché questo piatto era stato gettato nella spazzatura e nel buttarlo si è rotto, o magari, forse era stato gettato via proprio perché si era rotto. Starete pensando, quindi la spazzatura può finire nella vetrina di un museo? Ebbene sì! Ma partiamo dal principio di questa storia. La spazzatura in realtà è un materiale preziosissimo per gli archeologi – gli studiosi che si occupano di ricostruire le antiche civiltà – perché studiandola si possono capire tante cose sulla vita quotidiana delle persone vissute nel passato, soprattutto analizzando i materiali legati alla preparazione, cottura e conservazione dei cibi. I piatti ci forniscono informazioni sulla cucina e sulla tavola di tutti i giorni, come anche su quella delle grandi occasioni, le ossa e resti vegetali sulle consuetudini alimentari e gli utensili su alcuni aspetti dell’abbigliamento e della vita quotidiana. Ma dove veniva buttatala spazzatura? Nel caso del nostro oggetto, che risale al Rinascimento, è stato gettato in un butto, e più precisamente nel butto della Rocca Farnese. Butto? L’avete mai sentita questa strana parola? Somiglia se ci pensate al verbo buttare, e proprio a questa azione fa riferimento, il butto è infatti il luogo all’interno del quale si buttava l’immondizia a partire dal medioevo, quando si emanarono delle leggi che stabilivano come e dove smaltire i rifiuti nelle città, soprattutto dopo la grande epidemia di peste del 1348. Non tutti gli oggetti però venivano buttati, perché anche nel passato, come oggi, si praticava il riciclo. Per esempio alcuni manufatti in vetro o metallo, una volta divenuti inservibili, venivano riciclati o venduti come materia prima, gli oggetti in legno venivano usati come combustibile per riscaldarsi, e i resti dei pasti – il nostro organico di oggi – venivano impiegati come concime per orti o giardini. Il resto del pattume poi veniva gettato o ancor meglio buttato, in pozzi, cisterne, cantine, o grotte sotterranee, proprio come nel nostro caso. E qui veniamo alla nostra storia. Dovete sapere che durante i lavori di restauro, iniziati negli anni 80 dello scorso secolo per riportare all’antico splendore la nostra Rocca Farnese, si è scoperta improvvisamente l’esistenza di un butto. E siccome ormai avete capito l’importanza dell’immondizia del passato, non vi sembrerà strano sapere che tutti gli oggetti trovati in quell’antica pattumiera sono stati selezionati, catalogati e restaurati, per poi essere anche esposti nel nostro museo, a testimonianza del periodo in cui la Rocca era abitata dall’importante famiglia Farnese. E come facciamo a sapere, direte voi, che questo piatto rotto apparteneva proprio a loro? Possiamo senz’altro farlo procedendo con delle analisi scientifiche che possono datare con precisione l’impasto con cui è stato prodotto il nostro piatto, oppure grazie ai colori utilizzati per decorarlo, visto che in alcune epoche non era ancora possibile usare i colori gialli o blu, o ancora potremmo saperlo perché il piatto potrebbe essere stato realizzato da un particolare artigiano che, come nei piatti di oggi, potrebbe averlo firmato sul retro. Oppure molto più semplicemente possiamo saperlo perché nel nostro piatto, in quel bel frammento che è pervenuto fino a noi, è rappresentato un soldato dell’esercito Farnese, con la sua bella divisa tutta decorata di gigli, il simbolo araldico della nostra famiglia! Possiamo quindi concludere, con un piccolo gioco di parole, che il nostro Alfiere Farnese è proprio il bello di un butto! Se vi siete appassionati alla storia dei butti, vi aspettiamo al museo, per scoprire insieme tutti gli oggetti rinvenuti nella nostra pattumiera Farnese, che oggi fanno bella mostra di sé nelle sale del nostro museo.
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Voci dal Museo

Noemia Melaragni, cittadina di Valentano, è stata a lungo membro attivo del locale Gruppo archeologico ‘Verentum’ e guida del Museo. La sua passione per la storia della famiglia Farnese e soprattutto per le sue esponenti femminili l’hanno legata indissolubilmente alla Rocca e al museo.
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